Oceans...
my glass mask   
lunedì 6 luglio 2009
Costruire un albero

Ieri, una serata intrisa di pacchetti da scartare con quel rumore caldo e complice che produce la carta, croc croc, impreziosisce tutto quello che avvolge, un regalo o un panino appena comprato dal fornaio; intrisa di vino, di scoraggiamenti e di entusiasmi, di nervosismi e di pace, di momenti bucolici da cui lasciarsi trascinare senza preoccuparsi di riflettere, di racconti e discorsi senza fine e carezze tenere senza parole, di erba che aspetta e luna che arriva e scarpe tolte e insicurezze e guardarsi per essere sicuri di essere gli stessi di due settimane fa.
C'è stato spazio anche per le carrambate, con quella ragazza amica di Giulia che non avevo mai incontrato ma che in quel modo faceva già parte di quello che
sono stata anch'io, ed è strano trovare per caso un giorno un tuo pezzetto che ancora non conoscevi.
Perciò oggi ho abbastanza spazio per trovare tutto
simbolico, anche il signore che ho spiato un mattino a leggere un libro fuori dall'ospedale, in macchina mentre aspettava qualcuno, e l'ho guardato con curiosità ma poi ho iniziato a trovarlo ogni giorno ed è diventato anche lui parte di quello che ero. Oggi la macchina era vuota; mi sono chiesta cosa significasse. In fondo un po' invidiavo quei suoi ritagli di tempo, che fosse lì per un motivo da nulla o per qualcosa di grave, lì, dentro quella macchina, con il suo libro, mi pareva che trovasse uno spazio in cui le simpatie o le preoccupazioni non contavano più: per quei pochi minuti la vita era solo lì dentro, come quando ti sta tutta nel diario di scuola fra le versioni, i numeri di telefono, gli adesivi delle star e le firme degli amici o le frasette sul ragazzo che ti piace da morire.
Anche per questo amo il treno. Non dico che vorrei una vita "su un treno" perché non potrei stare senza cose che contano, quelle che mi fanno sbattere la
testa e rompere i denti e stare male e arrabbiarmi e poi dispiacermi per essermi arrabbiata anche se avevo ragione. Dico che proprio perché mi arrabbio, mi sento felice, sbatto la testa, quei minuti racchiusi in un angolo di mondo in cui niente mi raggiunge sono preziosi.
Ci ho pensato mentre camminavo, penso un sacco quando cammino - qualche volta a naso in su e non m'importa d'inciampare finché posso guardare; non m'importa
se per gli psicologi e i loro occhiali guardare in su significa questa o quella cosa, perché, a proposito di nasi, se non si alza il proprio dalle pagine rilegate si può anche essere convinti di poter capire le persone studiando ma io resto ancora perplessa di fronte a questa sicurezza nel trasformare una persona in una serie di caratteri in stampatello. Mi sembra meschino. Ridurre un gesto semplice, liberatorio come guardare il cielo, a un "problema" mi ricorda la volpe che critica l'uva per il bisogno di ridurre ogni cosa in categorie annusabili.
E insieme se n'è uscito di nuovo per conto suo anche il pensiero che in fondo siamo sempre chiusi dentro a qualcosa: sei in casa oppure in macchina oppure in qualche altro edificio, l'ospedale o l'alimentari o il posto di lavoro, e se aspetti l'autobus sei sotto la tettoia, e se vai in spiaggia stai sotto l'ombrellone. Il cielo, in tutto questo, non c'è.
Non c'è mai, non lo si vede e provo nostalgia per quando bastava dondolarsi con forza su un'altalena per raggiungerlo.

Gli alberi. Anche gli alberi coprono il cielo, mi hanno detto. Non è vero. Ma chi l'ha detto ha mai guardato il cielo attraverso un albero? I rami, le foglie,
i nodi del legno, come fai a paragonarlo alla pensilina dell'autobus se tutto ti porta verso l'alto, lascia che gli occhi si arrampichino e salgano - non ha niente a che vedere con un grattacielo che appare slanciato ma non fa altro che schiacciare, schiacciare, schiacciare.
E' quello che costruiamo noi che schiaccia: a me sembra che questa sia la differenza. Gli alberi, per quanto frondosi possano essere, verdi, carichi di
frutti pesanti, secchi, squassati dal vento, sono sempre pronti ad alzarti.
Mi chiedo cos'abbia provato il Tomtom nelle sue notti sotto il cielo, fra le dune del deserto o gli altipiani etiopi o il caldo soffocante della giungla, e
mi chiedo anche quale strabiliante magia lo riporti ogni volta, dopo ognuna di queste esperienze in cui perdersi, da me.
Perciò, nella mia vita, io vorrei essere capace di costruire un albero.

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domenica 24 maggio 2009
Sogni quasi ricorrenti
Non posso dire che sia un sogno ricorrente perché non lo è: c'è un elemento che si ripete, ogni volta in circostanze diverse.
Sogno spesso che qualcosa che è successo qualche anno fa (mica difficile capire cosa) in realtà non sia successo. A volte lo scopro in un modo, a volte in un altro. A volte è per un motivo, a volte per un altro.
E' questa mescolanza di realtà e sogno che non mi permette di capire se sto vivendo o sognando, mentre succede, e poi al risveglio ho bisogno di alcuni minuti per rimettermi in sesto dai dubbi e dalla confusione, e per capire quale sia la realtà delle cose, l'una o l'altra.
Non è mai particolarmente bello il momento in cui lo capisco, comunque.

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domenica 17 maggio 2009
Prima che fosse 17

E così è tornato il 17 maggio, e per la terza volta non ci sei.
Il mio tentativo di fingere di nulla ha funzionato solo in parte, ho letto tre libri diversi e guardato due telefilm divertenti e scherzato sul nuovo scudetto e dormito e avuto la febbre e ascoltato canzoni e guardato foto non mie. Ma ha funzionato solo in parte.

Perché se avessi potuto scegliere una persona da avere accanto in un momento come questo, una persona su cui contare lo sai che saresti stata tu; me lo ricordo, in quella domenica mattina, il tuo modo di stringermi il braccio. Continuerò a sentirlo.

E così, ora che vivo un momento come questo, che faccio finta di nulla e mi faccio venire la febbre, ora che mi guardo intorno e mi rendo conto che chi poteva pensarci non aveva voglia di pensarci e lo sto facendo da sola, be', lo so che non puoi perché il momento è su di te, ma vorrei che ci fossi.



(E ricordo, prima che fosse 17:

"Poi una sera nasconderemo le vecchie fotografie, e le estati che ci innamoravano… Ci sarai, o saremo perdute in un nuovo inizio? Forse mangerò sola, ma non prenderò qualcuno al posto tuo: affitterò un carillon, e mi tornerai in mente quando riderò.")

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mercoledì 29 aprile 2009
Sognare ragni giganti, e non rendersi conto che.
Mi è rimasto impresso quel ragno gigante che ho sognato ieri notte, era grande e giallo, neanche cattivo - ma ragno, e grande e giallo e ballava il tip-tap vicino ai miei piedi. Mi sono svegliata e mi è rimasto impresso quello, che era la parte finale del sogno.
Nel sogno Marta ed io volevamo andare al cinema, c'era un cinema nel mio sogno a Cittadella, poi Cittadella non era davvero Cittadella, sembrava un paese di mare, coi negozi aperti sulla strada e le case basse, con le strade larghe dall'asfalto chiaro e i pini marittimi. Noi ci muovevamo in macchina, io con la mia e lei dietro con la sua e io che mettevo in anticipo le frecce perché potesse seguirmi; mi rendo conto che lei non aveva davvero una macchina, non so come si muovesse.
Ovviamente ci siamo perse.
Abbiamo vagato per un po' prima di capire che la strada per il cinema passava (questa volta a piedi) in mezzo ad un ristorantino all'aperto, pieno di palme e di felci e completamente buio a parte per alcune luci colorate appese ai rami, rosse, verdi, blu. Se esistesse quel posticino sarei sempre lì.
Poi è arrivato questo ragno. Mentre parlavamo col proprietario, perché si sa, quando si è con Marta si finisce sempre per attaccare bottone con la gente.
E mi sono svegliata e sono rimasta un sacco di tempo stranizzata da questa cosa del ragno, finchè non mi sono resa conto che la parte strana non era lui, era Marta, e io invece sono ancora così abituata alla sua presenza che non me ne sono resa conto fino al pomeriggio, quando per poco non le ho telefonato per raccontarglielo.

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venerdì 20 febbraio 2009
Angulus ridet



27,



buon compleanno.







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domenica 8 febbraio 2009
Recupero 2 - Sassolini. Marta.
Dimmi, sono ancora una persona che fa girare l'ombrello mentre piove, e corre di nascosto nei corridoi?
Non mi servono fotografie per pensarti, non mi serve dire il tuo nome, in questi giorni in cui sembra che l'universo cospiri per farmi pensare a te.
Come se ce ne fosse bisogno.
Mio cugino, il fratello di Diletta, si sposa. Si sta ponendo il problema del testimone e così mi è venuto in mente che io non ce l'ho più, il mio testimone.
Ho trovato a tradimento delle foto di Giulia con la Rena: erano nell'album di una ragazza che neanche conosco ma è amica del Tomtom e sua sorella... è pazzesco come tua sorella riesca a sbucare ovunque, dove meno te l'aspetti!
Sai, c'è E che torna a pensare all'amore. Forse non dovrei dirlo a te ma sono dannatamente contenta per questo... ma anche profondamente triste all'idea di chi è la persona a cui pensa. Mi chiedo cosa ne diresti tu, dopo quello che mi avevi confidato. Ti senti triste?
C'è anche questa ragazza che mi parla di quello che farà con la sua quasi-sorella... ed io non riesco nemmeno a risponderle, perché conosco così bene quella parola ancora!

Allora non m'importa di come ha provato a ferirmi chi nel nostro mondo non c'è entrato mai. Non nel tuo, non in quello di Giulia, anche se avrebbe voluto.
Non nel mio.
Non m'importa se mesi fa ha tentato ancora una volta di forzare porte che trovava chiuse. Porte che, in fondo, mi rendo conto di non aver mai pensato di volergli aprire. Io so qual è l'ultima cosa che hai detto tu, e so qual è l'ultima cosa che ha detto lei.
Erano per me.
Che m'importa delle persone piccole, delle frasi piccole? Che m'importa delle pause, o se ci abbiamo messo di più a capirlo? So quello che siamo. So di essere ancora, nonostante tutto, una persona che fa girare l'ombrello mentre piove e corre di nascosto nei corridoi. So che mi fermo a guardare gli aerei e le gocce d'acqua.
E' quello che sono. Ed è quello che siamo sempre state.

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giovedì 4 dicembre 2008
Cinque anni
Quanto contano 5 anni?
Voglio dire, quanto conta aver trascorso 5 anni della tua vita con delle persone, ogni giorno, fianco a fianco? Tutta quella vicinanza significa per forza più di un incontro? Cinque anni significano per forza più di cinque minuti?
Mi piacciono i cinque anni. Mi piacciono quelle persone che diventano una specie di cantuccio in cui tornare, per gran parte della mia vita ne ho avuta una.
Però ieri ho reincontrato questa ragazza, 5 anni nella stessa classe e non m'importa dei suoi sorrisi, non m'importa dei suoi polverosi tentativi d'intrufolarsi, di far parte di qualcosa di cui non fa parte solo perché suona bene esserci. Non era il suo cantuccio: era il mio. Non la conosceva, non ci ha mai dormito assieme, riso assieme, non le ha mai voluto davvero bene. Non conosce quel modo che aveva di stringerti il braccio.
E allora 5 anni non significano per forza qualcosa.
Non se c'è una persona che non hai mai visto ma nella cui casa sei stata chissà quante volte, e sei stata bene, ci hai mangiato, ci hai riso, ci hai acceso candele e fatto l'amore e preparato la tavola, e ti ci sei addormentata e ci hai trascorso momenti che semplicemente ami. Questo non significa qualcosa? Anche lui ha vissuto lì; anche lui ha riso e combinato guai lì dentro. Anche senza incontrarsi mai, anche se non vi sentirete mai due vecchi amici, non è un legame?
E c'è un'altra persona che non conosci ma che ti ha trovata, volevate bene a una stessa persona e ti ha scritto per chiederti qualcosa e tu non sapevi esistesse ma l'avevi sognato; avevi sognato che ti avrebbe trovata e ti avrebbe chiesto una cosa... e lui ti ha trovata.
Questo è pelle, è importante. Non sono 5 anni. Ma è importante.

E poi c'è lui, che porta una cuffia in più quando andate in piscina perché sa che dimenticherai la tua; che ti regala le luci e ti chiama quando è stanco, e ti spettina i capelli. C'è lui che ti fa stare bene tanto che una sera finisci per addormentarti in braccio a lui, e non hai freddo, e anche se parla nel sonno fingi di non accorgertene.

Non sono 5 anni, non sono proprio 5 anni.
E' solo importante.

Canzone del giorno: I feel fine - The Beatles

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domenica 12 ottobre 2008
Stream of consciousness di una serata piena di stupide domande irritanti
Ho un sacco di cose da scrivere oggi.
Un sacco, ma il file su cui le avevo segnate è corrotto e forse questo è un bene, perché sono stanca e ho una nausea da campionati mondiali e probabilmente sono in piena sindrome premestruale, inoltre ho appena fatto una dannosissima full immersion di McDreamy e non ho nutella e per gradire mando sms a chi non mi risponde, chi dovrebbe farsi sentire non si fa sentire e chi si fa sentire non dovrebbe farlo.

Ho un sacco di domande irritanti tipo "davvero mi va bene così?".
Davvero mi va bene non avere una possibilità? Non sono il tipo di persona che sta buona ad aspettare una risposta tutto il tempo, non lo sono mai stata. E non è neanche l'aspettare il problema, è solo che vorrei capire se c'è qualcosa in ballo da aspettare. Perciò.. davvero? Solo per il fatto di esserci dentro? Perché di solito non basta, non basta che ci sia dentro io. O Martin Luther King. O Vattelapesca.

Non basta, il numero uno.
E' sabato sera e sono a casa a cercare di recuperare un file grandiosamente farcito di tutte queste stupide domande irritanti, che suonano bene solo se sei in un telefilm o con davanti qualcuno che ti conosce davvero, davvero bene e nonostante questo continua ad essere tuo amico e solo per questo si è rassegnato a starti a sentire finché avrai finito, finché ne avrai bisogno. Senza mugugni, senza giudizi, senza consigli; magari con quel preciso modo di stringerti il braccio.
Sembra più difficile sopravvivere senza quando l'hai avuto. Quando gli hai dato una faccia, un nome, e adesso non servono perché non ci sono più.
Ma io ho la nausea e ho gli ormoni incazzati e depressi, perciò è un bene che io non riuscendo a recuperare quel file non possa riempire un post con tutte queste sciocchezze.

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giovedì 2 ottobre 2008
Persone da zucchero filato
E' uscito il nuovo album di Jakob Dylan, che stavolta balla da solo.
Ho pensato spesso a lui come ad una delle voci che preferisco. Non è solo per la voce in sé, è per l'atmosfera che mi crea; mi ricorda delle cose, delle situazioni, un certo periodo della mia vita che lo rendono una specie di cantuccio morbido.
C'era una persona che mi faceva sentire così. Era quel tipo di persona che se compravamo lo zucchero filato per mangiarcelo insieme il primo dell'anno, poi quando incontravamo un amico a cui fare gli auguri io cercavo di pulirmi la mano inzuccherata e mi scusavo ridendo per i baci appiccicosi, lei invece la nascondeva dietro la schiena e faceva quel sorriso e basta.
Era lei il mio cantuccio; ed è lei che mi ha fatto conoscere, tanti anni fa, i Wallflowers. Per questo ascoltarlo mi farà sempre, invariabilmente, pensare a lei.
L'altra sera ero con il Babu e gli ho detto che "ci sono due cose molto difficili per me: dire a qualcuno che gli voglio bene, e non dirglielo". Sono orgogliosa come una spina, e allo stesso tempo mi affeziono spontaneamente e incoscientemente. Lui ha annuito con la gravità di chi ha a che fare con la mia allegra schizofrenia ormai da un po'...
Però è uscito il nuovo album di Jakob Dylan. E se penso al mio cantuccio mi viene voglia di riuscirci, a dire quella maledetta frase ogni volta che la sento.


Canzone del giorno: Valley of the low sun - Jakob Dylan

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sabato 6 settembre 2008
Pescare con l'alta marea
Ieri mi sono svegliata, ho aperto gli occhi ed ho allungato il braccio alla mia destra per infilare gli occhiali.
E sono diventata cieca.
Dopo due lunghi, interminabili secondi, avendo realizzato che quelli erano gli occhiali da sole, mi sono messa a cercare a tastoni quelli da vista.
Quando una giornata inizia così bene, legge di Murphy dice che non può che migliorare (per la cronaca gli occhiali erano per terra, assieme al cuscino che ricordo essere precipitato ad un certo punto della notte sul mio ginocchio, e da lì rimbalzato sul pavimento; resta ancora da scoprire come mai un cuscino che dovrebbe stare sotto alla mia nuca sia piombato sul mio ginocchio).
Infatti quando ti svegli all'alba con un diluvio da piena tristezza autunnale, all'E.R. ti fanno letteralmente andare in crisi con 1000 cambi di piano consecutivi, gli esami s'infittiscono di odiosi ostacoli burocratici che ti fanno cascare le braccia, hai una nausea come neanche dopo il pranzo di Pasqua e non puoi nemmeno uscire a prendere aria per vedere le cose con più prospettiva e non farle così giganti, e in tutto questo il Tomtom ancora non si è schiodato dalla sua Etiopia e la zanzariera evidentemente non è il mantello che, assunta la sua identità segreta, lo porterà in volo accanto a te per 3 semplici minuti, beh...
...dov'ero rimasta?
Ah, sì.
E' simpatico.
Dopo cotanta simpatia legge di Murphy dice che è cosa buona e giusta proseguire incastrando il tacco nel treno proprio quando devi scendere. E rimanere sconsolata nella tua scatoletta che non vuole saperne di mettersi in moto. E non ricevere i soldi che aspettavi. E trovare un biglietto di un paio d'anni prima che accompagnava un mazzo di fiori che proprio non riesci a capire da chi arrivasse. E la Mosca che ti fa analisi psicologiche spicciole. E dall'E.R. continuano a chiamarti anche se sei a casa. E tua mamma ti porta un vecchio post-it in cui avevi scritto "Chiamare Marta" accanto allo scarabocchio di un dolce porcellino rosa.

Ero così sull'orlo di una crisi di nervi che è stata una meraviglia quel ragazzo che, senza saperlo, mi ha fatto trovare la frase perfetta per la mia acqua alla gola.
"Non si può pescare con la bassa marea".
Bentornata, prospettiva.

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domenica 29 giugno 2008
Fare i conti con te

Ti ho sognata, stanotte.
Quando mi capita poi il risveglio è confuso, perché sono situazioni sempre troppo vere per avere la percezione immediata che non si tratta di realtà. Finisco per fare una doccia lavando i capelli con il bagnoschiuma e il corpo con lo shampoo.

Ci sono ancora tante cose che mi colpiscono, ovunque, perché mi riportano direttamente a qualcosa che ho vissuto con te; tante per cui la reazione spontanea è "Devo parlarne con lei". E ancora mi sembra di riconoscerti per la strada. Eppure avrò sempre meno ricordi che hanno a che fare con te, meno foto di quelle che comincerò ad avere con altre persone. Forse un giorno deciderò di cancellare il tuo numero di telefono.

Però ho promesso di fare ciò che posso, e non è solo per me, lo sai. In parte è per te.. perché c'è un buco da riempire. In parte è per lui, perché è quello che posso fare da qui. Per questo, vedi, non è facile non arrabbiarsi con chi cerca di appropriarsi di un dolore che non è il suo. Perché tu che te lo porti in tasca provi a soffiarci sopra, e altri ci riversano sopra parole che neanche conoscono.
Ma ieri mia mamma, in un impeto di generosità che nei miei confronti ha raramente (sono pur sempre la figlia piccola e disastrosa, no?) mi diceva che mi prendo cura delle persone, e che questo è il mio modo: sforzandomi di portare un sole piccolo piccolo, un sorriso anche se sono stanca, di ascoltare anche se sono annoiata. Non lo so se sia così, cerco di farlo e non sempre mi riesce.. però ci provo. E allora adesso che i giorni di distanza da te sono diventati anni, sono diventati, più o meno, 2 anni e 41 giorni, è quello che devo fare. Cercando di non indugiare su ciò che mi manca di te, ma solo sulle espressioni del tuo viso, sul tuo modo di stringermi un braccio, di ridere. Perché in fondo, ormai, fare i conti con te è come fare i conti con me stessa.


When you disappear on me it's just like parades in the rain.. So could you tell me why you're leaving, cause I don't know, I don't know, I don't know.. (Hazy - Counting Crows)

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mercoledì 21 maggio 2008
17 Maggio
Frammenti di vecchie foto prese qua e là. Frammenti di vecchie parole prese qua e là. Per il 17 Maggio, che chiaramente è passato da un po'.. E' che ho voluto lasciarlo passare..



"Era tardi quando uscivamo
a scambiarci le scarpe, a scambiarci le facce
e palleggiare due sogni all’addiaccio
nelle vie vuote delle cinque del mattino."



"Marta d’aria, Marta d’aria spettinata"



"Ti ho scovata un giorno come si trova una riva
così, lungo il fiume – e non lo so
se ho mai trovato qualcosa più a lungo."



"Ho inchiodato la mia gioia allo spazio
che ora sta attorno al tuo volto."




"Non mi terresti
un po’ con te, anche se i fianchi
ora non hanno spazio?"




"Ho imparato
ad amarti con i denti."



"Vorrei, se non altro, un cenno
come sasso rubato all’oceano
come scoprire, grata e stupita
che porti ancora le stesse magliette."



"Poi una sera nasconderemo le vecchie fotografie
e le estati che ci innamoravano…
Ci sarai
o saremo perdute in un nuovo inizio?
Forse mangerò sola,
ma non prenderò qualcuno al posto tuo:
affitterò un carillon
e mi tornerai in mente quando riderò."



"Quattro parole perse
per terra.
Quattro parole, come quattro colpi
alle ginocchia."

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giovedì 24 aprile 2008
Under Pressure
Voglio dire, già se una si commuove guardando Friends vuol dire che è schizzata di suo, oppure sta perdendo la brocca. Poi ho rivisto Luca e mi veniva voglia di coccolarmelo e invece sta per compiere 18 anni ormai, non posso far tornare indietro il tempo, è tutto diverso da quando l'ho conosciuto e balbettava qualche sillaba. Però dopo 2 anni somiglia a sua sorella in un modo crudele, e ogni suo movimento, ogni sua parola, quel modo di strizzare gli occhi che ha, mi fanno capire a cosa pensa.
E poi sono un po' Under Pressure, in generale. All'E.R. gli operai che ristrutturano il nostro piano mi hanno presa in simpatia: ieri mi hanno vista talmente tante volte macinare scale su scale e km su km che ad un certo punto mi vedevano arrivare di lontano e mi spalancavano le porte da bravi gentiluomini. Perfino le bestiole sono state buone.. forse avevano capito che in caso contrario li avrei fucilati al muro, non so.
E poi sono preoccupatissima per E., ma proprio da morire e non posso neanche parlarne e più che altro ho questo bisogno immenso e immediato di guardarlo in faccia. Andrò da lui sabato. O domenica. Meglio sabato.
Ma è in tutta questa stanchezza che ieri sono andata sul maispeiss di Francesco (Francesco Cerchiaro avec la Belle Epoque) e, trovando una canzone intitolata 17 maggio ed avendo intuito di cosa si trattasse, sono andata ad ascoltarmela lo stesso. Una se le cerca.

Canzone del giorno: Mr and Mrs Smith - Joe Strummer and the Mescaleros

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sabato 5 aprile 2008
Ironia al n.15
Ieri sera sono tornata a casa ed ho trovato questo nel bagno. Al n.15 la vita la si prende su così.
Non so bene quanto di questo mi sia stato contagiato dalla mia famiglia e quanto invece le abbia portato io stessa man mano che crescevo, ma l'ironia è il jolly con cui cerco di attraversare l'esistenza: di sicuro questa casa è una gabbia di matti, ma ognuno ha sviluppato la sua demenza in modo peculiare, quindi meglio riderci sopra.
Ecco perchè i miei post sono zeppi di commenti più o meno buffi su presunti amori, odi, torturatori, madri tacchiste e sconosciuti importanti. Gli episodi che vivo, li filtro con questo salutare esercizio e allora gli sconosciuti si trasformano in pelouches, i fattacci diventano vignette e strani personaggi sembrano grandi amori. A ognuno il suo metaforico antidoto: io, soprattutto da Marta in poi, mi trovo bene con questo.
Perchè la nostalgia se no ti frega. Ho sempre litigato un sacco con la mia perché, che mi piaccia o no, mi sono resa conto che soffrirò sempre di nostalgia.

Ormai ho imparato ad accettare questo lato, anche se non era quello che volevo per me, e gli lascio un suo spazio. Ha scelto la sera, perché di solito la sera è per me, con il suo silenzio, il buio, i fogli di quaderno ed i pensieri. La sera, ecco, è una specie di regalo che mi faccio ogni giorno. Il sole no: il sole mi dà voglia di uscire, di chiacchierare, di correre, anche di pigliarmi un acquazzone e poi un raffreddore e riderci su.
Però ogni volta la notte ritorna ed io rallento, mi appoggio a questa specie di metaforica finestra che dà sulla stazione dei treni o sulla fermata di un tram e mi lascia vedere le persone che aspettano, o che prendono il treno per un pelo, e le storie che si trascinano dietro. Questa finestra è l'essere cresciuta circondata da parenti che cucinavano un sacco di dolci e un sacco di storie, e amici d'infanzia con cui avere paura e rotolarti nel fango, e vicini che ti suonano il campanello per avvertirti che inizia a piovere se hai il bucato steso, e matti che ti regalano dei funghi, e professori che parlavano da soli, e baristi del solito posto e tanti gatti. E scoprire, ora che non "abiti" più lì, che ti mancheranno per sempre.

Canzone del giorno: My number - Tegan and Sarah

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mercoledì 27 febbraio 2008
More than the world itself
Il coinqui mi ha parlato dei miei primi journals su dA.. Mi sono messa a rileggerli. Mi ha fatto piacere ritrovarne alcuni, e mi è venuta voglia di riproporli qui... non tutti, ovviamente. Due o tre. Rigorosamente in ordine di arrivo, quindi non c'è da preoccuparsi per il tenore di questo, gli altri sono decisamente divertenti.

Journal Entry: Sat Sep 23, 2006, 12:01 AM
Every time I watch a film or I dream, everytime when in a film or a dream someone dies, there is a lapse of time, maybe a short lapse of time, while it's you that is dying.
It doesn't matter. I cannot rescue you.
How many people die in that way every year? How many boys or girls have died since May, 17?
Many... too many, perhaps. Millions of people die in the world. How many are they everyday? I don't know. How much can your death matter for the world?
Nothing.
But for some of us, for me, it matters more than the world itself.

Canzone del giorno: I wanna be sedated - The Ramones

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domenica 24 febbraio 2008
La mia Specola
Bene, ho appena provato questo test ed il risultato è stato devastante. Non sono riuscita in nessun modo, dico nessuno, a vederla girare in senso antiorario. Non socchiudendo gli occhi, chiudendoli, girandomi, fissandola... niente. Io non voglio essere così priva di senso pratico! Ci provo sul serio.. forse è il senso pratico a non volere me.
A proposito di non-senso pratico, ho nostalgia della Specola. Ci ripensavo in questi giorni, perché il 20 febbraio è passato velocemente, leggero quasi, con la scusa dell'esame.. ma essendo il mio cervello qualcosa di altamente groviglioso non è che questo mi abbia fatto piacere, anzi. Mi sono sentita in colpa. La sindrome del sopravvissuto.
Sindrome, fra l'altro, che mi ha fatto rispondere brutalmente a McStalky che ieri era passato alla fase-suicidio. Mi dispiace. Però la sua sul "voler morire" è stata una frase davvero, davvero idiota. Perchè quattro giorni fa ho festeggiato da sola il compleanno di una persona che era per me una sorella. Ecco, quello è morire. E lui è un idiota.
Imperdonabile idiota. Mi ci vorrebbe un po' di Specola. Camminare un po', rimanere in silenzio a guardare l'acqua, scrivere. Leggere qualcosa. Me li ricordo, i libri che ho letto lì in quei giorni. In quelle ore. Mi ricordo tutto quello che ho pensato, quello che ho visto. Mi ricordo perfino le persone, e sono passati quasi due anni.
Mi piacerebbe avere qualcuno da voler portare lì, cui voler far sentire quello che ho sentito io, senza bisogno di raccontarlo.. di quelle persone con cui senti di stare bene anche in silenzio, un silenzio di qualità molto diversa da tutti gli altri che potrai mai avere. Ce ne sono pochi, di silenzi così. E quando li trovi, sai che ti ci puoi abbandonare. Ecco, io vorrei conoscere domani qualcuno che mi regali quel suo silenzio, perché io gli possa regalare quella mia specola.

Canzone del giorno: Everything - Alanis Morissette

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mercoledì 20 febbraio 2008
McPost
McStalky non ce la fa... C'è. Notte e giorno, mail e messaggi. Sempre molto psycho con i suoi gradi diversi di atteggiamento. Su e giù. Su e giù. E su. Sta strabiliando Danny (McGhost? In effetti, data l'origine della citazione, è sia molto Mc che molto Ghost), siamo già al Fieramosca - Danny: 3 a 0.
Io nel frattempo sbaglio tutto quello che posso sbagliare: auricolari per il cellulare, date degli esami, persone che devo vedere... perfino i sogni.
Oggi è il 20 e sto tentando di fingere che non lo sia. Ma il fatto che l'esame sia venerdì e non domani mi lascia quel tanto di spazio libero in più nel cervello per poterci pensare. McBrain.

Canzone del giorno: Song to say goodbye - Placebo

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martedì 19 febbraio 2008
Banalmente, malinconia
Sto rimanendo troppo a lungo con me stessa, e si sa che la cosa è pericolosa, data la mia testolina cotorta. Ne è riprova il messaggio ricevuto ieri sera..
Ieri sera. Sono uscita prima dal corso (ancora Istituzioni Parlamentari Europee, però stavolta ci siamo visti un bel filmato sulla vita di Altiero Spinelli) perché dovevo tornare a studiare. Però quando mi sono trovata in macchina mi sono resa conto che non avevo voglia di tornare a casa, avevo bisogno di stare ancora per strada, di girare e non pensare e mantenere il più a lungo possibile quel momento. Troppe pressioni con la luce accesa, l'esame e il lavoro e lo stalker che imperversa su tutti i miei schermi, e molto, angoscioso, futuro. Vorrei davvero avere la linearità di alcune persone che conosco. Davvero. Ma è la cosa più lontana dal mio modo di essere fin da quando sono nata, purtroppo. Così ho fatto un po' di giri, ad un certo punto stavo per andare a Bassano ma ho cambiato idea, e sono finita nell'unico altro luogo che per certi versi avrei potuto chiamare casa. Un luogo che mi rassicurava vedere, come se fossi tornata ai bei vecchi tempi in cui, quando mi saltava, prendevo la bici e passavo: Marta.
Era tardi, e questa è stata la scusa ufficiale con me stessa per non entrare in casa sua. Ne trovo sempre di buone.
Ieri l'avevo pensata parecchio. E' incredibile come ancora la mia vita si basi così tanto su di lei, è come aver perso un braccio, una cosa così, magari la testa ti dice che non ce l'hai più ma non puoi farci davvero i conti, continuerai a cercare di grattartelo fino a un attimo dopo che la tua mano avrà trovato il vuoto. Mai un attimo prima. E' sempre un attimo dopo.
E' quell'attimo dopo che mi frega ogni volta. Cerco di non parlarne, in fondo a maggio saranno due anni e vanno tutti avanti così bene. Il problema, ecco, è che le ultime due cose che hanno fatto Marta e Giulia non riguardavano quei "tutti". Riguardavano me.
C'è solo una persona con cui, ancora adesso, mi sento a mio agio al riguardo. E mi manca, mi è mancato ieri sera. Mi manca da quando mi è venuto a cercare perchè al funerale avevamo lo stesso sguardo, mi manca da quando ci sedevamo sui gradini a parlare, da quando sceglievo i titoli per le sue foto, da quando era l'unica persona che lasciavo avvicinare quando non vedevo nessuno, non parlavo con nessuno. Non serviva fare molto. Però bastava per ritagliare via dal tempo i momenti che c'erano. Ne erano fuori, sospesi. Ieri, quando giravo per guadagnare tempo, Dio solo sa da cosa, forse dalla realtà, mi è sembrata quella sera in cui mi riportava a casa dopo che avevamo parlato e sapevo che probabilmente sarebbe stata l'ultima sera e così gli ho chiesto se poteva girare ancora un po'.. e lui ha girato. Ha girato col braccio che gli faceva male per esserselo chiuso in un treno che non voleva perdere, per venire a parlarmi. E il suo girare mi ha fatta sentire al sicuro.
Forse è per questo che ho fatto la stessa cosa, ieri, con quella canzone bellissima e tristissima, di una malinconia che accompagnava bene quella che provavo io. E forse è per questo che lì, ferma davanti a quella benedetta casa, credevo fosse lì dentro anche lui.
La gente fa fatica a capire. Ma è come se avessimo avuto entrambi una storia d'amore con la stessa persona. Mi farà sempre sentire al sicuro, e anche scoperta, più di chiunque altro. Un po' come ieri, quando c'era anche se non era lì, mentre giravo a vuoto tra il buio e la nebbia nel mio abituale musical personale, quello che trasfigura la realtà ogni notte appena prima di dormire.

Canzone della notte: Kissing you - Des'ree

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giovedì 15 novembre 2007
Due piroghe
Funzionava tutto.
Funzionava tutto e poi più niente, ho un po' di panico adesso, di quelli da buco nello stomaco - stupido post. Però sapevo quello che volevo fare e sapevo su chi contare.. lo sapevo come poche altre cose nella vita. E poi è cambiato tutto e ok nella vita cambia tutto, però certe volte semplicemente ti pesa troppo e finisci a guardare uno schermo vuoto per un po'.

Perché adesso che qualcosa sta per finire scopro che non vorrei che finisse. E' passato un anno e mezzo, per me è stato una partenza ma anche un rifugio, e penso di aver sfruttato la parte della partenza ma non mi sento ancora pronta per abbandonare il rifugio. Ed è anche perché (altre persone, altro discorso) quando ci troviamo tutti in gruppo sono amici e sono belle persone, però penso che neanche mettendole tutte insieme riavrei quello che avevo con Marta.

Ho parlato con M qualche giorno fa, lui mi chiedeva chi avrei contato come Amica... l'ho contata. Non è vero.
E' morta.
Sabato sarà un anno e mezzo. Quindici anni insieme e poi è morta. Io sono scappata, 575 giorni che corro e sono scappata così lontano che non ho più neanche questo, perché adesso che M parte devo chiedere a lui, lui che non l'ha mai vista in vita sua, di fotografare per me quelle piroghe. Di portarmi quelle piroghe. E lui lo fa, lo fa e non mi chiede nulla.. per fortuna, certo, per fortuna; però se ci penso significa che non immagina neanche lontanamente il perché, oppure lo sa ed evita educatamente di parlarne, e tra il non immaginarla e il tenersi educatamente a distanza che cos'è peggio?
Mi manca.

Con O non va bene. Non funziona. Non basta.
C'è qualcosa, questa fatica continua, ansimare e prendere a pugni e sbattere la testa e dibattersi e gridare, e aggrapparsi con le unghie che alla fine diventa solo un graffiare; e allora mi guardo intorno e guardo lui, guardo lo spazio che dopo meno di un anno inizia a formarsi tra di noi e mi chiedo se il bene basti.
Poi è arrivato. Nel momento di maggiore incertezza qualcosa è arrivato e ha detto che gli sarebbe piaciuto chiedermi di aspettare, e quando hai bisogno di qualcosa da stringere perché ti sembra che tutto scivoli via non puoi non aggrapparti a una frase così.
Solo che in realtà non c'è. Lo so, che non c'è. O forse è solo che non lo capisco. Lui, in effetti, fa di tutto per non farsi capire.

Non credevo che sarei andata in panico all'idea che quest'anno e mezzo finisse. All'idea di dover di nuovo guardare in faccia questa realtà di Marta. E' come se tutto, fini e partenze, ne facesse parte, e non so da che parte voltarmi perché tutto me lo ricorda. Forse per questo ci rimango così male. Forse per questo mi manda in crisi l'idea che M parta. Non ho un gran rapporto con gli abbandoni ormai.
Mi sembra di non avere nulla.


Non è vero che sono incostante. Quando qualcosa per me è importante, me ne prendo cura. Forse è solo che non sono abbastanza.

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Discover U2!

Amo i gatti, l'oceano, la rabbia, le ninnananne, i grandi animali che si spaventano o perplimono per piccoli animali, guardare le persone che passano per la strada, gli highlanders, la carta, i musical, Paperino, le rughe, appiccicare cose alle pareti, le fiabe, avere le dita sporche d'inchiostro, camminare scalza, le bolle di sapone, camminare, l'eroismo, scrivere, scarabocchiare, quello che sbrilluccica, l'acqua, l'acqua che si muove, l'acqua da bere, l'acqua che ruggisce, l'acqua che si arrabbia, l'acqua che spaventa, l'acqua quand'è forte, l'acqua quando vince, il silenzio, i libri, le sopracciglia, la poesia, i gelati alla frutta, Spike, il pane, albe e tramonti, gli abbracci, il lucernario di max per vedere le stelle, l'ironia, le corde vecchie della mia chitarra, tutto ciò che ha zucchero, i ricordi, biblioteche e librerie, le differenze, il crystal ball, i miei film mentali, il vento, le vecchie cassette, le parole, leggere tra le righe, gli amici, le scatole, Dr.House, i fiori, l'argento, dormire, il cartone, la latta, i treni, Felicity, le debolezze nelle persone, i maglioni giganti, prendere da sola i mezzi pubblici, l'impero romano, immaginare le storie che i passanti si trascinano insieme, perdermi, l'enigmistica, il profumo dell'erba appena tagliata, le altalene, i palloncini, il violino, la scena della Spada nella Roccia in cui il lupo spelacchiato prova ad inseguire Semola, la frutta, i pennarelli, Lorelai Gilmore, Paperinik, i miei casini, preparare regali e biglietti, mio fratello, Angel, il the verde senza zucchero, Spiderman, le cuffie, i folpi, i castori, i bastoni della pioggia, la mia bacchetta magica, la polvere innamorata negli occhi, le mie bestiole dei pomeriggi, Ombretta, sentire all'improvviso il profumo della crema pre-sole, le mucche, le papere, la nonna, i pistacchi, gli arcobaleni, fare regali, i pacchetti, il mojito, fare l'amore, Venezia, le persone che non hanno sempre una ragione per ciò che fanno.


Vorrei conoscere Giorgio Bocca; Tom Waits; Dylan; EM Forster; Guccini; Peter Parker; Sirius Black e Remus Lupin. Babbo Natale.


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Odio il caffé, gli errori ortografici, Studio Aperto, Minzolini al TG1, la slealtà, i midi, il modo di fare impostato, parlare per diminutivi (cià ragà il pa'...), il signor B., la musica tunz tunz, la musica cuore fiore amore, i giovani scrittori maledetti, il monumento a Padova per l'11/9, il freddo, le occhiaie, la tracotanza, l'estrema destra alla cieca, l'estrema sinistra alla cieca, le letterine, il menefreghismo dell'Italia per la scuola, l'invidia, le ostentazioni, le forzature, le pose, le lampade abbronzanti, i gioielli della Brail, il traffico, la notte senza buio, Topolino, il razzismo, il razzismo al contrario, gli spazi chiusi, il Grande Fratello, la scena della Spada nella Roccia in cui Semola-uccellino è imprigionato nella capanna di maga magò, l'ipocrisia, gli intingoli, il beige, gli atteggiamenti, i contatti formali. Le persone che dicono "So come ti senti". Le persone con cui non avevo contatti prima e nel 2006 venivano da me come se fossero sempre stati miei meravigliosi amici ("Come stai?", e pacca sulla splla). Chi molla le cose perché non sono facili. Chi disprezza le cose perché non sono ragionevoli. Chi cerca di tenermi ferma davanti ad un obiettivo fotografico. Chi si autodefinisce poeta. Chi si autodefinisce umile. Alzarmi alle sei. I ragni. Il pensiero lento. Il pensiero rigido. Accorgermi che qualcuno mi fissa per la strada. La meschinità. Chi non si meraviglia. La prosaicità, ovvero: chi non ha almeno un po' di polvere innamorata negli occhi. Non avere Marta.


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