Ieri, una serata intrisa di pacchetti da scartare con quel rumore caldo e complice che produce la carta, croc croc, impreziosisce tutto quello che avvolge, un regalo o un panino appena comprato dal fornaio; intrisa di vino, di scoraggiamenti e di entusiasmi, di nervosismi e di pace, di momenti bucolici da cui lasciarsi trascinare senza preoccuparsi di riflettere, di racconti e discorsi senza fine e carezze tenere senza parole, di erba che aspetta e luna che arriva e scarpe tolte e insicurezze e guardarsi per essere sicuri di essere gli stessi di due settimane fa. C'è stato spazio anche per le carrambate, con quella ragazza amica di Giulia che non avevo mai incontrato ma che in quel modo faceva già parte di quello che sono stata anch'io, ed è strano trovare per caso un giorno un tuo pezzetto che ancora non conoscevi. Perciò oggi ho abbastanza spazio per trovare tutto simbolico, anche il signore che ho spiato un mattino a leggere un libro fuori dall'ospedale, in macchina mentre aspettava qualcuno, e l'ho guardato con curiosità ma poi ho iniziato a trovarlo ogni giorno ed è diventato anche lui parte di quello che ero. Oggi la macchina era vuota; mi sono chiesta cosa significasse. In fondo un po' invidiavo quei suoi ritagli di tempo, che fosse lì per un motivo da nulla o per qualcosa di grave, lì, dentro quella macchina, con il suo libro, mi pareva che trovasse uno spazio in cui le simpatie o le preoccupazioni non contavano più: per quei pochi minuti la vita era solo lì dentro, come quando ti sta tutta nel diario di scuola fra le versioni, i numeri di telefono, gli adesivi delle star e le firme degli amici o le frasette sul ragazzo che ti piace da morire. Anche per questo amo il treno. Non dico che vorrei una vita "su un treno" perché non potrei stare senza cose che contano, quelle che mi fanno sbattere la testa e rompere i denti e stare male e arrabbiarmi e poi dispiacermi per essermi arrabbiata anche se avevo ragione. Dico che proprio perché mi arrabbio, mi sento felice, sbatto la testa, quei minuti racchiusi in un angolo di mondo in cui niente mi raggiunge sono preziosi. Ci ho pensato mentre camminavo, penso un sacco quando cammino - qualche volta a naso in su e non m'importa d'inciampare finché posso guardare; non m'importa se per gli psicologi e i loro occhiali guardare in su significa questa o quella cosa, perché, a proposito di nasi, se non si alza il proprio dalle pagine rilegate si può anche essere convinti di poter capire le persone studiando ma io resto ancora perplessa di fronte a questa sicurezza nel trasformare una persona in una serie di caratteri in stampatello. Mi sembra meschino. Ridurre un gesto semplice, liberatorio come guardare il cielo, a un "problema" mi ricorda la volpe che critica l'uva per il bisogno di ridurre ogni cosa in categorie annusabili. E insieme se n'è uscito di nuovo per conto suo anche il pensiero che in fondo siamo sempre chiusi dentro a qualcosa: sei in casa oppure in macchina oppure in qualche altro edificio, l'ospedale o l'alimentari o il posto di lavoro, e se aspetti l'autobus sei sotto la tettoia, e se vai in spiaggia stai sotto l'ombrellone. Il cielo, in tutto questo, non c'è. Non c'è mai, non lo si vede e provo nostalgia per quando bastava dondolarsi con forza su un'altalena per raggiungerlo. Gli alberi. Anche gli alberi coprono il cielo, mi hanno detto. Non è vero. Ma chi l'ha detto ha mai guardato il cielo attraverso un albero? I rami, le foglie, i nodi del legno, come fai a paragonarlo alla pensilina dell'autobus se tutto ti porta verso l'alto, lascia che gli occhi si arrampichino e salgano - non ha niente a che vedere con un grattacielo che appare slanciato ma non fa altro che schiacciare, schiacciare, schiacciare. E' quello che costruiamo noi che schiaccia: a me sembra che questa sia la differenza. Gli alberi, per quanto frondosi possano essere, verdi, carichi di frutti pesanti, secchi, squassati dal vento, sono sempre pronti ad alzarti. Mi chiedo cos'abbia provato il Tomtom nelle sue notti sotto il cielo, fra le dune del deserto o gli altipiani etiopi o il caldo soffocante della giungla, e mi chiedo anche quale strabiliante magia lo riporti ogni volta, dopo ognuna di queste esperienze in cui perdersi, da me. Perciò, nella mia vita, io vorrei essere capace di costruire un albero.
Oggi ho preso il treno un po' di corsa, e quando sono salita in mezzo a tutta quella folla cellularizzante di giovini gitaioli eccitati, sono stata molto soddisfatta di avere trovato, subito, libero almeno il posto della serva: quello piccolo piccolo, da aprire nella parete, che sta nel corridoio fra uno scompartimento e l'altro. Di fronte a me, in piedi, un ragazzo con una grossa valigia. Mentre avanzavamo il ragazzo, in un italiano molto stentato, mi ha chiesto se fossimo a X. Non so perché ma avevo proprio voglia di sorridergli, mentre gli spiegavo che no, non eravamo ancora a X ma siccome anch'io sarei scesa a quella fermata l'avrei senz'altro avvertito in tempo, e non so perché, ma anche a lui è venuta proprio voglia di sorridermi allora. Contagiosi, questi sorrisi. Strani esseri umani.
Poi siamo arrivati, e con un'epifania ritardata dalle precarie condizioni attuali del mio cervello mi sono resa conto che quando sono salita nel vagone fiondandomi con sollievo su quel piccolo posto libero, in realtà c'era sicuramente seduto lui prima di me; solo che si era alzato per lasciar entrare le persone, e poi non aveva detto più nulla. Ho ripensato alla signora di ieri, e sono stata proprio contenta di aver sorriso a quel ragazzo.
Non mi sono dedicata molto al blog ultimamente, presa com'ero da attività profondamente culturali come: scoprire che uno dei 2 gemellini di Ricky Martin (no, è sempre gay) si chiama Valentino, povera anima; consolarmi per la mia carnagione da giapponese morente perché anche Linda Evangelista (no, dico: Linda Evangelista!) struccata sembra la Camy Parkerbowles nella giostra con gli specchi super-deformed; cercare di scoprire la differenza specifica tra Aspirina, Sulidamor e Efferralgam. Il problema era la febbre. Non è che lasciasse spazio per molto altro. Tutto è iniziato quando ho perso il mio amatissimo anello verde speranza. Fra le altre cose l'elaborazione del lutto mi ha portata a lavorare senza sosta con Incubo Pazzo (nome indiano del viceboss che mi chiamava a tutte le ore del giorno e della notte), a prendere le febbre per lo stress, e a dover continuare a lavorare con Incubo Pazzo anche con la febbre e anche con lo stress e anche nel week-end. Tanto che McNasty (nuovi ingressi fra i soprannomi-e.r.!), preoccupato per il mio bianco visino, mi seguiva per farmi ufficialmente una flebo prima che fosse troppo tardi; in realtà essendo lui un nastyboy sperava di prendermi al volo quando sarei svenuta. E poi la mia memoria mi sta abbandonando. Dimentico di fare l'abbonamento del treno (2 volte in 2 mesi, e 2 volte graziata dalle FS grazie ai miei biondi occhioni spauriti), dimentico di contare le serie di esercizi, dimentico oggetti, dimentico parole a metà discorso con risultati oggettivamente pietosi. L'unica cosa che non ho dimenticato, ho scoperto, è il solfeggio. Un frizzante pomeriggio di solfeggio con la bimba. Come mi sento giovine!!! Il lato positivo è che, dopo aver sognato di impalettare l'uomo pausa, e dopo che in seguito a questo l'uomo pausa è scomparso per due settimane dalla faccia della terra con mio disperato panico, oggi è tornato. Con aria così sofferente e provata che continuo a pensare che i miei poteri stiano aumentando pericolosamente. Ma almeno è vivo.. povero, povero ragazzo! Insomma, in tutto questo (e molto altro) come potevo non prendermi indietro con i post? Li recupererò qui di seguito, smangiucchiando sensi di colpa.
Questa mattina avevo voglia di guidare. Sì, lo so che non sono quel tipo di persona, lo so che di solito non scappo dai miei pensieri quando diventano ingombranti; tanti difetti, però da certe cose non scappo. Quando mi succede qualcosa, quando sto male, quando ho bisogno di capire, io non faccio finta di niente con me stessa. Io sto lì e mi lavoro addosso nei miei grovigli personali. Però stamattina avevo bisogno di guidare. Niente treno. Niente confortevole, placido treno. Niente briglia sciolta ai miei pensieri. Niente che mi lasciasse sola con me stessa, volevo guidare, volevo tenere le mani sul volante, guardare il cielo gonfio sopra e sentire che stavo andando da qualche parte. Avevo bisogno di una pausa. Non rimpiango mai di essermi ficcata in una situazione difficile, non resto da qualche parte perché è il lato comodo, ma questo non significa che certe volte anch'io non sappia dove andare a sbattere la testa. Questo non significa che non faccia male. O che non abbia bisogno di guidare, come una buona scusa. E diluviava così forte che ad un certo punto non vedevo dove stavo andando, non sapevo nemmeno se ero ancora nella carreggiata, nulla. Mi ha fatto bene. Mi ha tenuta concentrata su questo. Al sicuro.
Questa notte ho sognato che correvo a vedere la pioggia, e poi diventava neve, e poi non era proprio neve perché c'erano anche dei sottilissimi pezzi di plastica rosa.
No, non è un post su Braccobama. Però siccome oggi ho ripetutamente battuto Murphy ho pensato che se io riesco a mandarlo al tappeto vuoi che un nero non riesca a diventare presidente degli Stati Uniti? Mi sono svegliata in ritardo, ma ce l'ho fatta a prepararmi in tempo. Mi sono quasi strozzata con la vitamina, ma sono tornata a respirare. L'Uvetta ha cercato di non mettersi in moto, ma poi si è messa in moto. Finalmente sono salita sul treno. Qualcuno sapeva che siamo in novembre? Immagino di sì, ma evidentemente io non ero tra i fortunati, visto che ho candidamente presentato al controllore l'abbonamento di ottobre. Potrei avere un sacco di scusanti. Ultimamente sono sempre andata in macchina. E poi le feste in mezzo mi hanno confusa. Senza contare che il Tomtom ha questa capacità di farmi prendere sovrappensiero le strade contromano. Però, sarà come dice il Babu perché sono piccola e bionda, i controllori devono volermi davvero un gran bene. Ah, e poi quando sono arrivata all'e.r. ho tentato la scena epica della scivolata a ralenty di svariati metri che generalmente si conclude con un volo fino al picco del Monte Rosa ed una ricaduta altrettanto fallimentare, ma salutata da scroscianti applausi del pubblico improvvisato. Visto che pioveva. Invece dopo circa trenta metri di pattinaggio su pavimento con posa platica ed aria aggraziata sono riuscita a rimettere giù l'altro piede e fermarmi senza danni. E' quasi incredibile. Braccobama, sei tutti noi!
Oggi, andando verso la stazione, mi sono presa la pioggia. E ho pensato che siamo talmente abituati a tutto ciò che è sterile che restiamo sempre chiusi dentro a qualcosa e nemmeno ce ne accorgiamo, e appena sgarri di poco inizia il fastidio perché è freddo, perché è caldo, perché è sporco, perché è bagnato. Passiamo dalle case alle macchine agli ascensori degli edifici, e mai che qualcuno si fermi a raccogliere una nuvola. A me piace andare a piedi. E mi piace fare le scale, si sa. Così stamattina ho capito che a stare tutti i giorni all'E.R. (dove, potenza del sonno, io e McBesame ci siamo mandati tre mail a testa prima di capire che ci trovavamo l'uno nell'ufficio di fronte all'altra) incontro talmente tante gente lì per motivi diversi dai miei che il minimo che posso fare è sorridergli, e cercare di essere gentile. Voglio dire, se scelgo di fare le scale per guardare, poi mica posso fingere di non vedere, no? E se vedo, come faccio a non prendermela a cuore? Per ogni singola persona che cerca l'ascensore, o che aspetta sconsolata sulle scale. Che poi sorridere che vuoi che faccia.. ti senti addosso questo magone, questa responsabilità e non c'è nulla che tu possa fare di concreto, e forse è vero che dovrei rimuginare meno, come dice il Tomtom (semper lù, McM) con la storia delle rotelle che ronzano. Però, ecco, ero in treno e c'era questa ragazza che somigliava a Felicity (quella del Felicity-mode), e poi si è accoccolata sul sedile di fronte a me con gli occhi chiusi e ad un certo punto, chissà perché, si è messa a sorridere.
Dovendo andare a Montebelluna a trovare E., appena arrivo in stazione riesco a constatare che gli orari sono completamente diversi da quelli del sito.. da qui il torrido dubbio: quale cacchio di treno devo prendere? Udine? Belluno? Il Parigi-Bitonto? In stazione mi mandano a Castelfranco per il cambio, indi è quello per Treviso. Non ne volevo più sentir parlare ed è già la seconda volta in 3 giorni che prendo un treno per quel posto, andiam bene. Almeno però lo so: allora mi sento meglio e mi rilasso, così giustamente la prima cosa che faccio poi scendendo è sfracellarmi a terra. Mica rotolando, o annaspando con le braccia in una di quelle scene plastiche da stunt-man: io semplicemente non mi accorgo del gradino e vado giù. In verticale, senza inclinarmi, senza piegare le gambe. Sparisco. Un momento c'ero e il momento dopo non ci sono più.. La moglie agile del Wilcoyote. Comincio a sentirmi una turista sperduta (a 15 o a 1500 km da casa fa lo stesso: lo sono per principio). Il tetto del binario vibra in modo inquietante. Di fianco a me una cinesina deliziosa scatarra come uno gnomo di 800 anni con l'allergia. E. mi scrive che spera io non sia a piedi dalla stazione, perchè sarà 1 km di strada. Per la precisione sono 2, ma ho il tappeto volante arrotolato nella borsa.
Dopo essermi persa ovunque ed essere passata quattro volte davanti allo stesso bar con le stesse persone fuori, ho trovato l'ospedale. Il resto è andato bene: c'era una festa di compleanno e c'erano i coriandoli e c'erano i pasticcini e c'erano le trombette, e l'ospedale vecchio è carino, quel reparto ha un bel giardinetto con le nuvole e le panchine e il cinguettare degli uccelli. Poi si conoscono tutti. Quindi bene, a parte le 2 ore e mezza per tornare a casa. Ma non sarà per questo che tornando mi venivano da piangere più o meno tutte le mie lacrime.
Oggi ho preso il treno aggrappandomi alla maniglia dopo che era partito e issandomi con la forza delle reni. Dopodichè mi sono arrampicata sul tetto e l'ho sfondato con un pugno, calandomi sulla vittima predestinata al sacrificio con un calcio rotante che gli ha rubato il posto e la testa.
**Disclaimer: non ripetere a casa, quest'operazione è stata eseguita da una pendolare professionista.**
Ecco, questo è Chuck Norris (anche se al mio treno stamattina mancava solo il calcio rotante). Quello che racconto in questo blog, invece, è la mia vita reale. Specifico perchè mi rendo conto di sembrare svanita in modo incredibile (credeteci!), dai commenti stile: - Dimmi la verità, i post che scrivi sono veri o ci prendi tutti in giro? (coinqui) o Fra, ricevendo una spiegazione secondo me molto logica su di lui: F: Dannazione.. sei pazza! N: A me è capitato, quindi è anche verosimile.. F: Sì, ma tu non fai testo.
Torniamo a noi. All'e.r. anzichè mezza persona scopro che devo sostituirne due perché LaLaura è malata e non è un pesce d'aprile. Mi inauguro con un professionistico "PREdiatria buongiorno" dopo aver scorto McBesamemucho in camice; ricevo incoraggiamenti sul Grande Capo. - Ma il primario è buono.. devi temerlo solo quando giù c'è tanta gente perchè si innervosisce e ha una brutta giornata! Scendo un attimo. 30" dopo, risalendo: - Ecco, ha una brutta giornata.
Secondo me mi ama. Aveva una giornata pessima ma mi ha riservato solo sorrisi gentili. Ed è anche un bell'uomo, con l'apostrofo.
Secondo me sono state le patatine dello spritz di Ale; troppo piccanti, mi hanno sfasato il criceto. Che poi per me la locuzione "troppo piccante" significhi più o meno "petto di pollo" è ininfluente.. E' che certe volte mi sembra che il mio cervellino sia un mobile di legno anche pregiato magari, di quelli lucidi e tarlati che fanno tanto "Perché Io Valgo", ma stile Ikea. Tutto da montare. Dovrò farmi un amico falegname.. Ho pure uno zio che potrebbe fare al caso mio, ma mi guarderebbe in perfetto silenzio con un'immobilità che neanche Gandhi, poi sbufferebbe lentamente riuscendo a spostarsi a ralenty il ciuffo di capelli dagli occhi e infine mi volterebbe le spalle, costernato dal suo stesso sangue. Oggi, dopo aver chiesto a qualche punto Vodafone degli auricolari per il mio cellulare senza riuscire a trovare il cellulare, perduto in chissà quali meandri della borsa, ho anche perso il biglietto del treno nei meandri del cappotto. Così ho fatto in tempo a scambiare la banderuola segnalatrice del controllore per un ombrello, e a pensare conseguentemente, nell'ordine:
- Povero controllore, dal suo ombrello pende un lembo tutto sfilacciato! - Oh, ma che strano controllore: gira a chiedere biglietti con l'ombrello in mano! - Toh, che chic, è proprio verde FS - Uhm... ma piove??
Tutto questo nella classica frazione di secondo prima che Babushka mi guardasse altrettanto costernato del gandhiano zio. In effetti, calcolando che la mia traduzione di Babushka è "vecchia zia", non ci piove. Però sto bene, ho trovato una che come me riesce a perdere la macchina ogni volta che la parcheggia.
Amo i gatti, l'oceano, la rabbia, le ninnananne, i grandi animali che si spaventano o perplimono per
piccoli animali, guardare le persone che passano per la strada, gli highlanders, la carta, i musical, Paperino, le rughe, appiccicare cose alle
pareti, le fiabe, avere le dita sporche d'inchiostro, camminare scalza, le bolle di sapone, camminare, l'eroismo, scrivere, scarabocchiare,
quello che sbrilluccica, l'acqua, l'acqua che si muove, l'acqua da bere, l'acqua che ruggisce, l'acqua che si arrabbia, l'acqua che spaventa,
l'acqua quand'è forte, l'acqua quando vince, il silenzio, i libri, le sopracciglia, la poesia, i gelati alla frutta, Spike, il pane,
albe e tramonti, gli abbracci, il lucernario di max per vedere le stelle, l'ironia, le corde vecchie della mia chitarra, tutto ciò che ha zucchero,
i ricordi, biblioteche e librerie, le differenze, il crystal ball, i miei film mentali, il vento, le vecchie cassette, le parole,
leggere tra le righe, gli amici, le scatole, Dr.House, i fiori, l'argento, dormire, il cartone, la latta, i treni, Felicity, le debolezze nelle
persone, i maglioni giganti, prendere da sola i mezzi pubblici, l'impero romano, immaginare le storie che i passanti si trascinano insieme,
perdermi, l'enigmistica, il profumo dell'erba appena tagliata, le altalene, i palloncini, il violino, la scena della Spada nella Roccia in cui
il lupo spelacchiato prova ad inseguire Semola, la frutta, i pennarelli, Lorelai Gilmore, Paperinik, i miei casini, preparare regali e biglietti,
mio fratello, Angel, il the verde senza zucchero, Spiderman, le cuffie, i folpi, i castori, i bastoni della pioggia, la mia bacchetta magica,
la polvere innamorata negli occhi, le mie bestiole dei pomeriggi, Ombretta, sentire all'improvviso il profumo della crema pre-sole, le mucche,
le papere, la nonna, i pistacchi, gli arcobaleni, fare regali, i pacchetti, il mojito, fare l'amore, Venezia, le persone che non hanno sempre
una ragione per ciò che fanno.
Vorrei conoscere Giorgio Bocca; Tom Waits; Dylan; EM Forster; Guccini; Peter Parker; Sirius Black e Remus Lupin. Babbo Natale.
Odio il caffé, gli errori ortografici, Studio Aperto, Minzolini al TG1,
la slealtà, i midi, il modo di fare impostato, parlare per diminutivi (cià ragà il pa'...), il signor B., la musica tunz tunz,
la musica cuore fiore amore, i giovani scrittori maledetti, il monumento a Padova per l'11/9, il freddo, le occhiaie, la tracotanza,
l'estrema destra alla cieca, l'estrema sinistra alla cieca, le letterine, il menefreghismo dell'Italia per la scuola, l'invidia,
le ostentazioni, le forzature, le pose, le lampade abbronzanti, i gioielli della Brail, il traffico, la notte senza buio, Topolino,
il razzismo, il razzismo al contrario, gli spazi chiusi, il Grande Fratello, la scena della Spada nella Roccia in cui Semola-uccellino
è imprigionato nella capanna di maga magò, l'ipocrisia, gli intingoli, il beige, gli atteggiamenti, i contatti formali. Le persone
che dicono "So come ti senti". Le persone con cui non avevo contatti prima e nel 2006 venivano da me come se fossero sempre stati miei
meravigliosi amici ("Come stai?", e pacca sulla splla). Chi molla le cose perché non sono facili. Chi disprezza le cose perché non sono
ragionevoli. Chi cerca di tenermi ferma davanti ad un obiettivo fotografico. Chi si autodefinisce poeta. Chi si autodefinisce umile.
Alzarmi alle sei. I ragni. Il pensiero lento. Il pensiero rigido. Accorgermi che qualcuno mi fissa per la strada. La meschinità. Chi
non si meraviglia. La prosaicità, ovvero: chi non ha almeno un po' di polvere innamorata negli occhi. Non avere Marta.