Sono passata di fronte al bar in una domenica mattina inaspettatamente calda; il bar era un po' squallido e svagato, forse anche sporco, con due o tre vecchi al tavolo di fuori che discutevano, imprecavano, giocavano a carte. Una volta i bar erano punti d'incontro, mica di passaggio. Ci andavi anche da solo perchè sapevi chi avresti trovato: ogni bar aveva le sue abitudini, le sue persone, le sue sigarette. Per ogni persona c'erano i bar e c'era "il" bar. Avevi "il" bar. Avevi "la" compagnia. Avevi punti di riferimento, un'identità e invece adesso gli incontri sono frettolosi oppure telematici, non conosci gli altri nemmeno dopo dieci anni che li incroci sul portone di casa e ti sbrighi a trovare le chiavi. Così, succede che sia il caso ad avvicinarti alle persone. Ad uno sconosciuto. Ad un ragazzino che sti sta discretamente sulle scatole perchè ti infastidisce ogni giorno in stazione, e invece quel giorno, proprio quel giorno siete seduti vicini in silenzio e ognuno dei due guarda verso una direzione diversa, tu fissi i tacchi della signora che scivola sul marciapiede bagnato e poi quell'annuncio, quell'annuncio stranissimo vi fa sobbalzare allo stesso modo e scambiare uno sguardo che, per un secondo, vi scava dentro e lascia esposti i pensieri. Ad una ragazza che non avevi nemmeno notato entrando nello spogliatoio, che all'improvviso lascia andare un gemito e ti confida d'impulso che le hanno rubato una sciarpa, quella sciarpa che le era tanto cara, che non costava molto ma le era cara nei ricordi, nelle giornate fredde, nelle chiacchiere e ti racconta tutte queste cose con una inspiegabile fiducia negli occhi sgranati e tu la vedi, la vedi mentre la compra, mentre sorride al pittore giovane di strada, mentre corre sotto la pioggia o conosce il ragazzo dell'aula accanto con quella sciarpa addosso. A qualcuno con cui chiacchieri ogni giorno ma parli molto meno, qualcuno che ti piace ma che hai sempre lasciato nel suo mondo così come lui ti ha lasciata nel tuo, qualcuno di estremamente forte nel modo di porsi che chissà perchè, per cosa, un giorno tra una parola e l'altra senza guardarti ti confida quella sua inattesa debolezza, mentre ti sentivi al sicuro ti afferra e ti trascina al centro della sua intimità lasciandoti spiazzata, felice, confusa.
La parte più dura è quando hai bisogno di lui, del suo sostegno o anche solo della sua presenza perché sei giù, perché è un brutto periodo, perché ti è successo qualcosa e vorresti raccontarglielo, sentirti bene solo ascoltando la sua voce, ma sai che non potrà esserci.
Avrà qualcuno da aiutare, un'emergenza da risolvere, quel maledetto mantello da mettersi addosso. E tu puoi solo continuare a camminare lungo la strada di ogni mattina cercando di scrivere con gli occhi sull'asfalto tutte quelle parole che non ti sta dicendo. E' dura anche quando il ragazzo che cammina di fronte a te si ferma, sembra voglia allacciarsi la scarpa e invece raccoglie un fiore di scarpata, per offrirtelo. Ti spiega che sta andando a fare delle cose ma se hai il tempo di un caffè, o di dirgli il tuo nome, le cose aspetteranno. E tu lo guardi e pensi: non dirmelo tu.
C'è questa cosa che il Tomtom è il mio orso, e se la parte del "mio" addolcisce la parte dell'"orso" resta pur sempre un uomo cancro capace di certe uscite da uomo cancro, a parte quando ha la febbre e si addolcisce tremendamente per incapacità di intendere e di volere (potrei creare una bambolina voodoo con spilloni imbacillati per quando guarisce). In ogni caso visto che non si sbilancia facilmente tende spesso a sdrammatizzare e minimizzare ogni cosa, anche le mie cose quando le considera frutto di rotelle malate e inarrestabili. Ecco però che, quando meno te l'aspetti, compare a cadenza irregolare (speriamo endemica) la sua versione così tenera, così tenera che per sicurezza io faccio sparire tutti i grissini dai dintorni nel raggio di diechi chilometri. Così capita che siamo in macchina e stiamo scendendo dalla montagna e lui ha capito che qualcosa mi turba anche se non gli ho detto nulla, e finisce che all'improvviso mi rendo conto che per chissà quanto gli ho stretto forte (ma forte) una mano e lui è rimasto zitto ma ha tenuto lì la mano per me tutto il tempo, anche quando doveva frenare, anche se guidava sui tornanti, senza mai scalare marcia finché non ho tolto la mia.
Ci sono volte in cui, come sostiene la pulsatilla, provi questo inspiegabile sentimento di riconoscenza verso certe cose. I bagigi, per esempio. Non è che ci sia mai andata pazza, ma quando ero piccola il mio padrino aveva questa fornitura perenne di fronte al caminetto acceso e da allora li associo a situazioni da caminetto, chiacchiere e una certa intimità.
Allora quando li ritrovi per caso, magari stanca dopo una specie di petrosa arrampicata di 4 ore, di quello stanco buono, che ti fa sentire in pace perché eri con la persona con cui volevi essere e quando sbuffavi per la fatica lo facevi con lui, quando eri alta come il cielo guardavi giù con lui, quando scivolavi era lui ad afferrarti e se qualcosa ti faceva ridere era lui a farti da eco - - beh, ecco, quando in un momento così i bagigi li ritrovi per caso, la sera, ti portano ancora quell'atmosfera da chiacchiere, caminetto acceso e una certa intimità, e il ritmo croccante delle bucce che si mescolano per terra. Anche se sei in un locale poco intimo e a fuoco spento. Perché finisci magicamente per chiacchierare in confidenza e sparare cazzate e filosofeggiare di vita, d'amore e di scelte e mangiare dai piatti degli altri e ascoltare i loro racconti e avere idee e avere coraggio e sentirti a casa. (perfino il tizio che ho visto due volte e per salutarmi mi chiama stellina, e incredibilmente io non lo percepisco come un cluster...)
Ok, il merito non sarà stato dei bagigi che comunque continuano a non essere il mio stuzzichino preferito, però c'erano, ancora una volta c'erano e adesso per loro provo molta affettuosa riconoscenza.
Amo i gatti, l'oceano, la rabbia, le ninnananne, i grandi animali che si spaventano o perplimono per
piccoli animali, guardare le persone che passano per la strada, gli highlanders, la carta, i musical, Paperino, le rughe, appiccicare cose alle
pareti, le fiabe, avere le dita sporche d'inchiostro, camminare scalza, le bolle di sapone, camminare, l'eroismo, scrivere, scarabocchiare,
quello che sbrilluccica, l'acqua, l'acqua che si muove, l'acqua da bere, l'acqua che ruggisce, l'acqua che si arrabbia, l'acqua che spaventa,
l'acqua quand'è forte, l'acqua quando vince, il silenzio, i libri, le sopracciglia, la poesia, i gelati alla frutta, Spike, il pane,
albe e tramonti, gli abbracci, il lucernario di max per vedere le stelle, l'ironia, le corde vecchie della mia chitarra, tutto ciò che ha zucchero,
i ricordi, biblioteche e librerie, le differenze, il crystal ball, i miei film mentali, il vento, le vecchie cassette, le parole,
leggere tra le righe, gli amici, le scatole, Dr.House, i fiori, l'argento, dormire, il cartone, la latta, i treni, Felicity, le debolezze nelle
persone, i maglioni giganti, prendere da sola i mezzi pubblici, l'impero romano, immaginare le storie che i passanti si trascinano insieme,
perdermi, l'enigmistica, il profumo dell'erba appena tagliata, le altalene, i palloncini, il violino, la scena della Spada nella Roccia in cui
il lupo spelacchiato prova ad inseguire Semola, la frutta, i pennarelli, Lorelai Gilmore, Paperinik, i miei casini, preparare regali e biglietti,
mio fratello, Angel, il the verde senza zucchero, Spiderman, le cuffie, i folpi, i castori, i bastoni della pioggia, la mia bacchetta magica,
la polvere innamorata negli occhi, le mie bestiole dei pomeriggi, Ombretta, sentire all'improvviso il profumo della crema pre-sole, le mucche,
le papere, la nonna, i pistacchi, gli arcobaleni, fare regali, i pacchetti, il mojito, fare l'amore, Venezia, le persone che non hanno sempre
una ragione per ciò che fanno.
Vorrei conoscere Giorgio Bocca; Tom Waits; Dylan; EM Forster; Guccini; Peter Parker; Sirius Black e Remus Lupin. Babbo Natale.
Odio il caffé, gli errori ortografici, Studio Aperto, Minzolini al TG1,
la slealtà, i midi, il modo di fare impostato, parlare per diminutivi (cià ragà il pa'...), il signor B., la musica tunz tunz,
la musica cuore fiore amore, i giovani scrittori maledetti, il monumento a Padova per l'11/9, il freddo, le occhiaie, la tracotanza,
l'estrema destra alla cieca, l'estrema sinistra alla cieca, le letterine, il menefreghismo dell'Italia per la scuola, l'invidia,
le ostentazioni, le forzature, le pose, le lampade abbronzanti, i gioielli della Brail, il traffico, la notte senza buio, Topolino,
il razzismo, il razzismo al contrario, gli spazi chiusi, il Grande Fratello, la scena della Spada nella Roccia in cui Semola-uccellino
è imprigionato nella capanna di maga magò, l'ipocrisia, gli intingoli, il beige, gli atteggiamenti, i contatti formali. Le persone
che dicono "So come ti senti". Le persone con cui non avevo contatti prima e nel 2006 venivano da me come se fossero sempre stati miei
meravigliosi amici ("Come stai?", e pacca sulla splla). Chi molla le cose perché non sono facili. Chi disprezza le cose perché non sono
ragionevoli. Chi cerca di tenermi ferma davanti ad un obiettivo fotografico. Chi si autodefinisce poeta. Chi si autodefinisce umile.
Alzarmi alle sei. I ragni. Il pensiero lento. Il pensiero rigido. Accorgermi che qualcuno mi fissa per la strada. La meschinità. Chi
non si meraviglia. La prosaicità, ovvero: chi non ha almeno un po' di polvere innamorata negli occhi. Non avere Marta.